Fino a oggi questa sigla ha semplicemente significato “Extra-Terrestre” ma per me “E.T.” dovrebbe significare banalmente “Extra-Temporale”.
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IT 389 2021
In che senso i Giapponesi sono “alieni”?
Alessandro Mavilio

Tra il serio e il faceto ho spesso anche io detto che “i Giapponesi sono alieni”, e molte altre persone che ho incrociato nella mia lunga avventura giapponese (che ancora continua) hanno detto la stessa cosa, in tempi diversi e su sollecitazioni ambientali e culturali diverse. C’è chi lo dice per ammirazione e chi per sconforto.

Cosa si intende per “alieni”? Qualcosa di vicino a “marziani, extra-terrestri”? Forse sì. In un mondo la cui imbizzarrita modernità sembra minare ogni certezza storica e “di catalogo”, una tale opzione peregrina deve pur essere rispettata, del resto… Che ne possiamo sapere? Sappiamo davvero chi siamo e da dove veniamo?

Qualcuno pensa che i Giapponesi siano “alieni”, “fortemente alieni”, “più alieni” dei loro simili mongoloidi non solo a causa della loro cultura modulare e magnetica (nel senso del riconosciuto e spintissimo sincretismo che consente loro di accoppiare armonicamente moduli culturali “a loro alieni” in una piattaforma culturale navigabile, trasportabile ed esportabile) ma essi sono certamente coloro che meglio di altri incarnano, con le loro fattezze fisiche il canone cinematografico dell’alieno, dell’entità biologica extra-terrestre. Ovviamente è questa una semplificazione provocatoria, ma mi riferisco alla struttura ossea dei visi, agli occhi a mandorla, occhi, naso e bocca piccoli, corpo di forma tubolare (cito lo scrittore Tanizaki), proporzioni degli arti quel tanto diverse dalle altre razze, minore presenza di peluria, testa tendenzialmente un po’ più grande, insomma: un concentrato di neotenia superiore a quella che pur contraddistingue le altre razze umane.

Io anche penso che i Giapponesi siano “alieni” ma lo penso sotto un diverso punto di vista, che poi è lo stesso punto di vista dal quale aggredisco l’immenso e impraticabile discorso sugli UFO.

È mia convinzione che molti degli insuccessi concettuali ed inspiegabili dell’impresa umana siano dovuti non altro che a un errato glossario di partenza e a tutti gli errori a catena che tale glossario comporta nella stesura e condivisione dei ragionamenti e discorsi necessari a raggiungere un accordo comune tra dibattenti.

L’approccio moderno e occidentale ai grandi temi filosofici è spesso scientifico e si esprime in termini di materia, energie e processi fisici misurabili: dati, dati, dati. Quello orientale è invece tarato sulla percezione di mondi interni, di panorami più ideali, e perciò forse ambigui, e perciò forse anche meno provvisori di quelli d’Occidente.

Sempre con grande generalizzazione, mi piace proporre la visione per cui l’Occidente (che pur esiste in quanto entità) ami conquistare - e nel caso violare - nuovi spazi fisici mentre l’Oriente voglia preservare e navigare la dimensione del tempo (che ahinoi, pur sembra esistere) conservandone però l’indipendenza dalle dimensioni assegnate allo spazio. Non credo di sbagliare affermando che il concetto di continuum spazio-temporale quadri-dimensionale non sia altro che una capriola fatta cento anni fa e miracolosamente riuscita quando pochi si davano alle… capriole.

Dunque, la mia idea per resettare il glossario sul discorso degli UFO (e per tutte le implicazioni di politica interna e di eventuale eso-politica planetaria) è quello di rivedere l’acronimo E.T.

Fino a oggi questa sigla ha semplicemente significato “Extra-Terrestre” ma per me “E.T.” dovrebbe significare banalmente “Extra-Temporale”.

Forse il succo non cambia, del resto il tempo, fino a prova contraria lo percepiamo e misuriamo noi terrestri sulla Terra e già comincia a darci problemi quando ci muoviamo a velocità subsoniche: mi sapreste dire che senso avrebbe un discorso sul tempo qualora finalmente avessimo un incontro con l’equipaggio (ci auguriamo antropomorfo e benevolo) di una missione proveniente dalle Pleiadi? Nessuno. Perché per raggiungerci da lì, tale equipaggio avrebbe certamente dovuto annientare il concetto di tempo, ammesso che ne abbiano uno comparabile al nostro. Nessun senso, perché non sappiamo quanto “tempo” biologico è dato a loro disposizione per concludere la parabola di una vita media, e pur sapendolo la risposta potrebbe obliterare i nostri canoni assunti. Nessun senso, perché non sapremmo neanche quanto e se la loro cultura integri il tempo nella riflessione di sé. E via discorrendo.

Dunque, se il Tempo è davvero una dimensione così relativa, diafana, virtuale, forse anche inesistente, personalmente non mi sorprendono quelle culture (terrestri) che cercano di proteggere tale dimensione magari facendo di tutto per non farla aderire a quella di altre culture che hanno invece legato il Tempo allo Spazio per comodità di calcolo, ma non per agio del vivere. Se la tua cultura di appartenenza lega il tempo allo spazio ecco che non puoi più girare per strada, a Napoli, vestita in abiti tradizionali campani (che pure sono esistiti), magari per andare all’università, senza suscitare ilarità ed epiteti. Ecco che hai mandato al macero una enorme fetta di libertà individuale, di identità collettiva e di educazione al rispetto della reciprocità.

Esistono diverse culture sulla Terra che si ostinano a vivere nel passato, che magari rifiutano la modernità o che rifiutano perfino i contatti con il mondo moderno, penso all’Amazzonia o all’isola di Sentinel. Ci hanno insegnato a catalogare queste culture come tribali, arretrate, in un certo senso sub-umane, forse – anche se mai detto – animalesche. Del resto uno di noi non potrebbe abbracciare una tale cultura senza morire di qualche malattia (o causarne!) oppure senza impazzire, lontano da secoli di modernità. Eppure qualcosa di bonario in noi ci dice che è giusto preservare tali culture… Che è semplicemente bello che esistano e resistano. Del resto che noia ci danno?

Il Giappone è secondo me un esempio ancora più unico di cultura extra-temporale. Non ci si lasci ingannare dal fatto che è esso stesso da più di cento anni in preda a una scalata tecnologica, che abbia voluto ostentare i suoi muscoli quando l’Occidente macho ed energico (e in cerca di spazi da violare) lo ha più volte portato ad aprirsi, che abbia apprezzato l’esistenza degli archibugi di Tanegashima, il Cristianesimo e la scienza moderna, di fatto, troppo poco tempo è passato per farne un nostro omologo. Il Giappone conserva e modifica a piacimento il suo calendario, insiste nell’erogare “Ere imperiali” (scrivo dall’epoca Reiwa III), mantiene il FAX negli uffici, colleziona religioni, è nel termine più semplice: “anacronistico”. Noi significhiamo “arretrato, in ritardo” ma può essere anche inteso come “che ritorna al tempo”, che appunto non abbandona e non tradisce la dimensione del tempo.

Se la mia teoria sulla sua extra-temporalità è esatta, e se nel “codice civile segreto” del Giappone è davvero incisa l’inviolabilità del divino Santuario del Tempo, potranno passare anche secoli o millenni, esso sarà sempre una eccezione sulla faccia di questo pianeta.

Chi frequenta o vive il Giappone, dovrebbe sapere di stare sperimentando una condizione unica sul pianeta. Magari si può dire oggi con precisione GPS dove ci si trovi ma vogliamo ammettere il felice stordimento di poter scorrazzare quotidianamente tra il 10.000 a.C. e il 2050 d.C.?

Io sono persuaso che chiunque impari a vivere proprio in Giappone, ad apprezzare le sue cime e i suoi sprint e perdonare le sue valli oscure e i suoi abissi, sarà pronto a navigare verso qualunque orizzonte si prospetti all’umanità, sarà addirittura preparato a ogni tipo di viraggio post-umano.

Restando sul tema spaziale, e affermo anche ciò con un… serio sorriso, è mia convinzione che se mai si dovrà abbandonare il pianeta, in termini di navicelle che vengono mandate nello spazio con il loro carico umano, gli unici a non fare una piega e a saperlo fare saranno i Giapponesi, perché è qualcosa che fanno quotidianamente, dal tatami di paglia di mille anni fa ai sedili di un treno - che “un vero treno” non è.