Sulla capacità di inviare messaggi verso altre dimensioni.
IT 329 2021
Le voci di fuori (From Womb to Tomb)
Alessandro Mavilio

Anche se poche volte, è capitato anche a me di parlare alle mie figlie, quando erano ancora nella pancia della madre.

Immagino che sia qualcosa che facciano tutti i genitori, con stupida gioia, senza pensarci su troppo; qualcosa di naturale, giacché parlare è un'attività banale e si sa anche che di lì a breve "qualcuno", che presto avrà sembianze e presenza umane, sarà tra noi, nel nostro stesso mondo.

Anche se la prima figlia, dopo un paio di anni dalla sua nascita - e interrogata ad arte - abbia dichiarato di ricordare il tempo in cui era nel pancione (e io nutro seri dubbi sulla sua affermazione) è un dato di fatto che la madre e io le abbiam certamente parlato attraverso quel sottilissimo muro di pelle e carne, tese come un tamburo.

Ci immaginiamo accartocciati dentro un tamburo umano pieno di liquido? Cosa proveremmo se i nostri sensi fossero all'erta?

E' probabile che i bambini avvertano le vibrazioni e le frequenze sonore dei rumori e dei discorsi che investono il pancione, appunto pieno di sensibile liquido amniotico. Senz'altro un feto non può sapere chi stia parlando, cosa si stia dicendo o se quella strana vibrazione sia il rumore di un aereo che decolla, o lo stridio di un treno metropolitano... Ma è ammissibile pensare che il feto, nel suo miracoloso sviluppo, stia sviluppando anche la sensibilità ai rumori, ai suoni, alle voci e - anche se molto embrionalmente - ai toni del linguaggio umano, quantomeno. Magari non ancora utilizzando i meccanismi dell'orecchio, ma certamente percependo le vibrazioni del suono magari con tutto il corpo.

Occorre anche ricordare che il primo strato di pelle del feto proviene direttamente dal cervello e non è sbagliato dunque affermare che l'epidermide sia di fatto, fisicamente e anche da adulti uno strato cerebrale atavico, al quale possiamo assegnare anche funzioni di calcolo basico, per la necessaria computazione della coscienza e la necessaria relazione con gli agenti immediatamente esterni.

Subito dopo la nascita si ha la prova che un feto sappia come praticare azioni mai praticate prima, come succhiare un capezzolo per avere il suo primo nutrimento, dunque è possibile che le finissime regole dell'evoluzione lo abbiano preparato anche a disporsi ai richiami sonori, della madre innanzitutto e di chiunque altro sia stato nel raggio sonoramente percepibile dalla madre.

Ma il punto di questo argomento è un altro e molto più semplice: io ho davvero indirizzato, coscientemente, dei messaggi umani di senso compiuto verso un feto, un individuo non ancora nato.

Io ho davvero parlato come quando si parla a un muro, nutrendo però la speranza (o illudendomi) che qualcuno dall'altro lato potesse capirmi o almeno avvertire la mia presenza e intenzione.

Finché un feto non nasce e si presenta al nostro mondo come una nuova entità biologica, scalciante, piangente, in cerca di nutrimento, e finché questo feto un po' più cresciuto non risponde a una mia domanda (come è successo) con una ingenua bugia del tipo "sì, papà, ti sentivo", in quel mio parlare a un pancione io avrò sempre e comunque tecnicamente inviato un messaggio (certamente unidirezionale) verso un vero e proprio aldilà, non quello più classico e temuto dei morti bensì quello meno trattato e più temporaneo dei non ancora nati.

Di fatto - perché l'ho fatto - parlando a un pancione ho mandato un messaggio a un'entità di là da venire a questo mondo, e questa per me è una vera e propria rivoluzione nei termini della mia ricerca per una più naturale conoscenza delle stanze del mondo.

L'aldilà prenatale, che è una condizione che la biologia ci dice durare una decina di mesi, è comunque una condizione di estremo rischio. Non ci si lasci ingannare dal fatto che sia una condizione pre-"natale". La consegna viva del feto non è assolutamente garantita. Sebbene le procedure imposte dalla biologia tendano alla perfezione e al successo dell'operazione, molti sono i rischi di insuccesso; e molte sono le possibilità che la Natura stessa decida di non accollarsi i rischi di un falso successo, decidendo di abortire unilateralmente la procedura.

In tal senso, è incredibile come la morte sia costantemente di guardia anche all'interno del tempio deputato alla nascita per eccellenza. Allo stesso modo, giova ricordare che la forma finale e completa del feto è letteralmente cesellata dall'opera della morte: mentre i meccanismi biologici dello sviluppo ingrossano e conformano materialmente il feto, altri meccanismi assolutamente necrologici lo scolpiscono, tagliando via funzioni e materiali che non rientrano nel programma finale di specie.

Il mio è un calcolo matematico inaudito, arbitrario e inaccettabile ma, dato il programma di sviluppo ed espansione di un feto, possiamo dire che - riferendoci al processo di morte cellulare in atto all'interno di un utero - da ciascun bambino che viene al mondo sono stati sottratti l'equivalente di un migliaio di bambini per mera... alienazione cellulare. Ricordiamo che un utero non ha particolari problemi di spazio, giacché gli è possibile ospitare anche quattro o cinque feti completi contemporaneamente, e in tal senso, le cellule che vengono radiate dal programma di sviluppo sono di numero incalcolabile e, non avendo queste subito la formalità del divenire, non occupano alcuno spazio, né virtualmente tantomeno fisicamente.

Se banalmente possiamo dire che vita e morte sono in gioco in ogni momento della nostra vita, possiamo dirlo anche di quando non siamo ancora propriamente nati. E non si tratta di un braccio di ferro tra due forze in contrasto culturale! Anche se l'esito di una gravidanza può tradursi - nel linguaggio umano - nel "parto di un bambino nato" oppure nel "parto di un bambino nato-morto", di fatto, all'interno dell'utero si è avuta la assoluta cooperazione di queste due forze - della vita e della morte - che noi umani tendiamo a culturalmente contrapporre dualmente, anche da adulti e nei termini ulteriormente successivi di bene e male, positivo o negativo. E' probabile che l'entità in atto, quantomeno in atto nella dimensione biologica, sia sì singola ma con due braccia, due strumenti, dove lo strumento della vita e dell'evoluzione a quasi tutti i costi è certamente superiore a quello della morte.

Chiarita questa assurdità del nostro divenire forma, divenire umani, di venire al mondo, torniamo alla messaggistica.

Se disgraziatamente un feto non riesce a venire al mondo, ma il genitore nei mesi gli ha parlato, possiamo parlare tecnicamente di un messaggio che è stato inviato in un aldilà - appunto prenatale - ma indirizzato a un'entità umana in corso di sviluppo, che non solo non è mai nata, ma che di certo stava necessariamente morendo per venire alla vita o che forse era già morta prima che il genitore potesse percepirlo, saperlo, venirne a conoscenza con una delle tante prove che la stessa Natura ci concede.

Che un feto nasca vivo o nasca morto, quando gli si parla nel pancione si sta propriamente mandando un messaggio da una dimensione all'altra, da una dimensione presidiata a una dimensione di cui si ignora il presidio, ciò che in gergo fonico si chiama "broadcast in the blind".

L'aldilà prenatale è certamente temporaneo e positivo, perché allude alla vita, ma è di fatto un "aldilà da noi" dove la morte è di guardia, lavora alacremente e forse, in un certo senso, è anche lì la Signora che ha l'ultima parola sul successo del progetto.

Il giorno che avremo la prova, se mai ce ne fosse bisogno, (aggiungo: accettata ampiamente e culturalmente) che il feto addirittura percepisce le nostre vibrazioni sonore o addirittura il significato - seppur embrionalmente - dei nostri messaggi (anche solo attraverso l'intonazione o la musicalità del nostro parlato) saremmo di fronte a qualcosa di epocale.

Sapremo che si possono - tecnicamente - mandare messaggi in quell'aldilà insondabile dove vita e morte vanno a braccetto. Ancora una volta, trovare protocolli e vocaboli per comprendersi mutualmente sarà, solo se lo si vorrà, un banale problema di diplomazia e linguistica. Perfino il "silenzio radio" potrebbe essere un'opzione coscienziosa.

Sebbene sia conscio di quanto tutto ciò possa sembrare fuori dal mondo (perché lo è, e lo vuole decisamente essere) sono anche conscio che altri miracoli di diplomazia e linguistica sono stati fatti nei millenni per far sì che culture aliene tra loro, ma pur sempre ospiti dello stesso pianeta, si potessero incontrare, scambiare conoscenze e fondersi l'una nell'altra.

Poter scambiare proficuamente anche un unico tipo di messaggio - binario - con un feto sarebbe a mio avviso una rivoluzione multipla, aprirebbe nuovi orizzonti per il "discorso" post-morte e darebbe alla specie umana una rinnovata confidenza per intavolare discorsi più proficui e sensati con le entità dell'interspazio stellare o dell'iperspazio metafisico, le cui presenze sono da sempre sospettate e desiderate.

Visitare cimiteri e parlare ai morti mi sembra riacquisire enorme significato, dopo una vita passata nel rifiuto pubblico del sovrannaturale. Se l'ho fatto nella direzione di una promessa (utero / womb), basta cambiare direzione e farlo nella direzione della memoria (cimiteri / tomb).

Per quanto può riguardarmi e per ciò che mi è visibile e sperimentabile da vivo: dieci mesi (variabili) in pancia; una novantina di anni (variabili ma augurabili) sulla Terra... Da morti, non ci attende certo un'eternità di noia, ma un periodo determinato (un x di secoli terrestri?) altrove.

Notavo che l'enorme maggioranza di messaggi, esperienze, consigli e compagnia di qualità mi arriva da persone morte: scrittori, filosofi, artisti, amici, che grazie alle meraviglie tecnologiche di quest'epoca di interconnessione e messaggistica in differita mi parlano e guidano attraverso libri, film e ormai anche post di blog. Spesso vengo a sapere della loro scomparsa fisica improvvisamente o mi ritrovo nella condizione di essere forse io il feto in ascolto su un pianeta deputato alla vita ma senza possibilità di rispondere e ringraziare.

Siamo sicuri che questa dannata unidirezionalità dei messaggi tra vivi e non vivi (o tra i non vivi e i vivi) non sia solo una ignorante dannazione?