Come stare qui finché non dovremo andare lì.
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IT 384 2021
Il discorso più mancante
Alessandro Mavilio

Nonostante ci sia tantissimo da teorizzare, discuterne, e perfino - improvvidamente o sperimentalmente - culturalizzare, resto sempre più offeso dalla assordante mancanza di un discorso unificatore per i temi dell’umanità, del linguaggio, del sogno, e della morte.

Sono cosciente che questi macro-temi siano di immensa complessità, che non debba essere facile unificare tali temi nel concetto portatile e forse anche provvisorio di cui parlo e che desidero, ma per molti altre campi della scienza umana - molto più sfuggenti, complicati e distanti - le migliori menti si sono attivate, organizzate e industriate, e negli ultimi cento anni - e più che mai - hanno portato l’impresa umana a livelli inimmaginabili di speculazione concettuale e applicazione tecnologica per le loro piattaforme di pensiero.

Sono anche convinto che in tutte le culture più moderne del pianeta sia in atto, e ormai da secoli, una vera e propria politica di automatica e sottile censura, che sia attuato un meccanismo che evidentemente proibisce perfino di accennare ad alcuni dei temi menzionati, senza che si possa evitare di passare per illusi, delusi, o per qualcuno con la risibile tendenza a derapare… dai percorsi più consigliati e frequentati.

Se pur possa capire che un giovane nei suoi vent’anni non sia naturalmente attratto da un discorso lontano un’eternità dal suo tempo corrente, se pure capisca invece il mio crescente interesse per questo set di temi alla soglia dei cinquant’anni, proprio non capisco come sia possibile, specialmente per gli intellettuali più dotati e che ho ammirato, avanzare nell’età e costantemente rifuggire la questione, spesso con regolari tentativi di silenziare teorie e domande, sabotare quasi il dibattito.

Eppure abbiamo resoconti numerosi in varie culture più o meno mistiche del pianeta. Gli antichi erano senza dubbio interessati dalla traballante condizione della coscienza umana sulla Terra. Da quegli stessi antichi abbiamo preso a mani basse tante altre cose: stili artistici, teorie scientifiche per applicazioni più materialiste, visioni del mondo religiose più che altro per navigare a vista il quotidiano, ma il discorso sull’aldilà e sulla virtualità delle vita sembra non aver mai preso piede o gettato le basi per un percorso comunemente accettato dalla specie umana.

Giusto per amor di precisione, non computo in questo mio discorso la letteratura fantasy o la fantascienza in stile “Matrix” non foss’altro perché le intuizioni alla base di tali opere sono comunque rimaneggiamenti di intuizioni molto più antiche e hanno contribuito all’arricchimento dell’industria dell’intrattenimento più che a quello delle anime e di una solida consapevolezza del vivere dei Terrestri.

Curioso però, che nel Pantheon delle divinità più fantastiche, si accettino argomenti ugualmente invisibili, imprendibili, distanti e distaccati come cellule, molecole, atomi, particelle, o più semplicemente, tutte le sanzioni della gravità e della legge fisica per essa teorizzata (che sul suo piano di discussione teorico e universale pur mette d’accordo cattolici, islamici, buddhisti e molti altri credi religiosi) ma non si riesca a porre (anche con pesanti semplificazioni di comodo) la questione del linguaggio, della coscienza, del sogno e della morte su un simile piano extra-religioso ed extra-scientifico, per farne un concetto “portatile”, moderno, alla portata dell’uomo moderno, distratto e indaffarato, la piattaforma di lancio finale per poter assimilare soprattutto la società attuale che è ormai totalmente virtuale, e non solo nell’accezione informatica o tecnologica più facilmente immaginabile.

I macro-temi di “linguaggio, sogno e morte” sono comuni, condivisi, presenti e pressanti per tutti gli esseri viventi di questo pianeta, e dovrebbero a mio avviso eccitare le nostre menti più eccelse ben prima di un quark, o dello scoprire la composizione chimica di un astro lontano o dell’indagare temi sociologici di portata più infima, perché molto più provvisoria.

La scienza imperante rifugge chiaramente questa sfida e la suprema prova ne sono la totale mancanza di un percorso aperto al pubblico più vasto, la derisione o la censura che investe ogni nuovo tentativo di discussione, e il conseguente lasciare campo libero ai numerosi ciarlatani che occupano il sottobosco.

Mi rendo conto che io stesso potrei essere uno di essi, agli occhi di qualcuno.

Sono d’accordo che la scienza, quella seria, che basa ogni suo prezioso movimento su misurazioni possibili e calcoli sensati non possa lasciarsi impregnare da tale seme, ma esiste fino a prova contraria un’altra fazione scientifica, quella umanista e sociologica, che ne avrebbe di terreno da recuperare, per donare all’umanità un’inquadratura meno microscopica, meno clericale (per non andare in conflitto con il nulla di fatto dei colleghi religiosi), e almeno intavolare la premessa/promessa per un discorso stabile sul “come stare qui finché non dovremo andare lì”.